L’imminente ingresso nell’UE della Croazia avviene in un momento di grave crisi dell’Unione, che è alle prese con le contraddizioni sempre più evidenti alla base della sua creazione. Voluta e sostenuta fortemente dalla superpotenza che da oltre 70 anni incide in tutte le scelte chiave delle nostre “democrazie” è oggi sempre più chiaramente percepita come un organismo in cui non tutti gli Stati hanno pari dignità e come un elefantiaca tecnocrazia che impone le sue scelte dolorosissime senza la minima legittimazione democratica. La sua scommessa di maggior successo sulla carta, la creazione di una moneta unica sta distruggendo le economie di Paesi che non possono sostenere le assurde e utopiche regole imposte dalla suddetta tecnocrazia. L’euro presuppone che i Paesi che ne fanno parte convergano verso gli stessi parametri che però non tengono in alcun conto delle differenze socio-economiche e di struttura produttiva che caratterizzano da sempre gli Stati Europei e che in fondo sono la vera ricchezza del nostro Continente.
Anche lo stesso allargamento a Est dell’Unione, adottato senza preoccuparsi minimamente dell’impatto socio-economico che avrebbe avuto, ha prodotto enormi squilibri e risposte estremiste che vanno sempre più diffondendosi in Europa (Grecia e Ungheria in primis). Molti dei nuovi membri dell’UE non si pongono più come obiettivo l’adesione alla moneta unica e la stessa Turchia è sempre meno attratta dal “modello” europeo, dopo aver bussato invano per quasi 50 anni alla porta di Bruxelles. D’altra parte, l’unico organismo europeo eletto democraticamente (il Parlamento) non ha allo stato attuale il potere di incidere sulle scelte fondamentali della costruzione europea, né di fermare la pericolosa deriva tecnocratica dell’UE.
Sapere che un Paese europeo come la Grecia è ridotto in condizioni di semi-schiavitù allo scopo di restituire il debito contratto ed essendo per di più commissariato in qualsiasi scelta di politica economica, sta mostrando il volto peggiore e la mancanza di solidarietà che contraddistingue oggi l’Unione Europea. Ma questo è soltanto il risultato che gli studiosi di relazioni internazionali definiscono “realismo” politico. In un’organizzazione e nelle relazioni inter-statali i rapporti di forza emergono quando siano in gioco interessi veri, siano essi di natura politica interna, economici, di status e di prestigio. Ignorare questa realtà, affidandosi all’utopia liberale della cooperazione come migliore risultato possibile nei rapporti tra Stati, significa consegnarsi alla grande finanza e a coloro che possono trarre i maggiori benefici dalla speculazione sui debiti sovrani, vista l’assoluta mancanza di controlli e azioni giuridiche adeguate. Senza cambiamenti radicali, l’esperimento europeo rischia di trasformarsi in una breve parentesi di illusioni e di povertà.
Emanuele Di Girolamo

Nessun commento:
Posta un commento