Ormai sono trascorsi quasi due mesi dalle elezioni politiche e la classe politica di questo Paese malato terminale non è riuscita a formare un governo e ora nemmeno riesce ad eleggere un presidente della Repubblica. E intanto fuori dal Palazzo, che appare rinchiuso sotto una campana di vetro, gli imprenditori in difficoltà e i lavoratori senza più un impiego continuano a suicidarsi, le aziende chiudono a ritmo impressionante (30 mila il saldo negativo nei primi tre mesi del 2013: 150mila quelle morte e 120mila quelle nate), i piccoli negozi cadono come foglie morte, mille e più persone al giorno perdono il loro posto di lavoro, milioni di cittadini non arrivano ormai più nemmeno alla terza settimana e spesso sono costretti, vincendo la comprensibile vergogna, ad andare a mangiare alle mense del volontariato, e milioni di famiglie sono preoccupate di veder peggiorare ulteriormente le loro condizioni economiche.
Son tutte situazioni drammatiche che, ahinoi, conosciamo alla perfezione perché le cronache spietate di tutti i giorni ce ne offrono una persistente conferma. Ma lorsignori si aggirano nel loro “fortino romano”, parlano, discutono, sorridono, qualche volta si incazzano, poi vanno a bere il caffè sottocosto alla bouvette, e la sera cenano ai Due Ladroni o da Fortunato al Pantheon. Dimostrano ancora una volta che, messo il culo dentro il Parlamento, del resto non gli può fregare di meno, tanto hanno messo al sicuro la loro vita “alla faccia di quei beoti che ci hanno votato”.
Molti hanno sperato che l’arrivo in massa dei pentastellati (i grillini per chi non intende) avrebbe squassato l’eterno andazzo, ma così non è. Sia chiaro, il successo del M5S ha costretto la casta politica a rincorrere qualche taglio ai privilegi e agli stipendi d’oro. Ma è poca cosa rispetto allo sfascio che avviene fuori dal “fortino romano”. E se poi la cifra “rivoluzionaria” dei grillini si traduce nel sostegno, quale candidato presidente, di un vecchio arnese sinistroide come il professor Stefano Rodotà, allora c’è poco da stare allegri.
Dei leghisti, per carità padana, non vorrei nemmeno parlare. In questa vicenda quirinalizia recitano il ruolo delle comparse: sono scesi in basso fino a sostenere il candidato approvato dal capo Belrusconi (Franco Marini), e hanno fatto solo finta di provare a sostenere un loro candidato di bandiera per segnare quella che un tempo era la loro diversità. Meglio, molto meglio avrebbero fatto a seguire il consiglio di Gilberto Oneto di non partecipare al voto, ma era chiedere troppo a chi s’è abituato troppo bene a inciciare nel “fortino romano”.
L’Italia è fallita. Economicamente è fallita in maniera palese, e invito chi ancora non l’abbia fatto a firmare il manifesto a favore del fallimento guidato dello Stato (a tal proposito noto, dall’elenco dei sottoscrittori, che appaiono ben pochi esponenti dei movimenti indipendentisti soliti annunciare sfracelli parolai contro lo Stato), ma è tracollata anche politicamente: ne eravamo convinti da tempo, ma quanto sta accadendo in queste settimane e in queste ore ce ne offre una rappresentazione plastica. Fine, non resta ormai più niente, se non, come sostiene l’amico Dal Col, le comunità comunali e territoriali che dovrebbero cominciare seriamente a pensare a come venirne fuori.
Fonte: lindipendenza.com

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